Proviamo a pensare a qualcosa di trasgressivo.
Poi a qualcosa di trasgressivo e scandaloso.
Poi a qualcosa di trasgressivo, scandaloso e illegale.

Ci siete?

Ecco, per molte persone, 10 anni fa in Italia, era trasgressivo, scandaloso e illegale che io e la donna che oggi è mia moglie desiderassimo un figlio.

Invece il figlio poi è arrivato, è una figlia meravigliosa e si chiama Barbara. Abbiamo subìto la prima Consulenza Tecnica d’Ufficio italiana richiesta a una famiglia omogenitoriale – è la perizia che i giudici ordinano per verificare se ci siano genitori abusanti o maltrattanti.

Sì, avete sentito bene. Come se ci fosse un nesso tra abuso e violenza, e omosessualità.

Ma poi abbiamo vinto la battaglia legale ottenendo dal Tribunale la seconda sentenza di stepchild adoption mai scritta nel nostro Paese: Barbara oggi ha due genitori dello stesso sesso anche secondo legge.

Eppure, ancora, una famiglia come la nostra continua ad essere considerata trasgressiva, scandalosa e illegale. A tal punto, da essere perseguitata dallo Stato italiano. Siamo accusati di egoismo. Ma non è forse l’egoismo, di più, una pulsione narcisistica a spingere tutte le coppie a riprodursi (parola che appunto significa produrre nuovamente se stessi)?

Adesso voglio chiedervi un’altra cosa. Quante persone conoscete che si sono curate con la chemioterapia? E che hanno ricevuto un trapianto d’organo? Avete mai sentito parlare di chirurgia fetale e interventi in utero? E di respiratori automatici? Avete mai visto come funzionano le protesi dell’arto? La scienza viene in soccorso continuamente per supplire ai limiti umani.

Innaturalità: la lotta delle famiglie omogenitoriali

Invece, per le famiglie omogenitoriali, si parla di innaturalità. E’ innaturale concepire un figlio in laboratorio. Beh, il tema c’è. E’ un tema bioetico, però. Per la prima volta dalla sua origine, la nostra specie può riprodurre la vita artificialmente. Un tema sconvolgente, sono d’accordo, che chiama in causa il senso di onnipotenza, il narcisisimo appunto, il nostro rapporto con i limiti. Un tema che ci getta in un tale sgomento da dover trovare, come fossimo nella preistoria, un capretto da immolare come gesto aprotropaico per scaricare l’angoscia sociale.

Sapete qual è questo capro espiatorio? Le famiglie omogenitoriali: il 2% delle coppie che ricorrono alla riproduzione in laboratorio. Proprio così, guardate. Perché il 98% delle coppie che chiedono aiuto alla scienza per diventare genitori, sono eterosessuali. Solo che nessuno lo sa perché non si vede. Ed ecco giustificata la persecuzione. Il capretto scannato sull’altare. Ma sono tanti gli scongiuri scaramantici, come ad esempio la propaganda sul cosiddetto utero in affitto: chiamare così la gestazione per altri è un po’ come chiamare la donazione di organi traffico di organi, confondendo una pratica solidale regolamentata per legge con la sua deriva in reato.

Mi verrebbe da dire: invece di continuare a immolare animali (siamo nel 2023!!) facciamo una legge, è così semplice! Nel libro Nata con noi, con mia moglie abbiamo raccontato i primi dieci anni di vita di Barbara, aprendo le porte della nostra casa e condividendo con i lettori e lettrici piccole e grandi avventure quotidiane, proprio per creare narrazione intorno a una minoranza sottorappresentata e a un tema ancora tanto divisivo. Scrivendolo, ho scoperto quanti stereotipi inconsapevoli abitino in noi.

Sono a disposizione decine di studi scientifici internazionali con la peer review che dicono, all’unanimità, che l’eterogenitorialità non è garanzia di benessere per i figli, che orientamento sessuale e sesso biologico dei genitori non influiscono nella crescita sana di bambini e bambine che le funzioni paterne e materne possono essere esercitate indipendentemente da questi due fattori. In pratica, il padre può esercitare la funzione materna e la madre quella paterna, ad esempio. O alternarsi. O entrambi esercitarle entrambe. Ma questo, se siete genitori in coppia, lo sapete bene

Invece ciò che mi interessa condividere con voi sono le terminologie: ok pensate a un padre. Come lo rappresentereste? Quale azione lo descriverebbe, se doveste fare una sintesi? Non certo cambiare un pannolino. Idem per una madre: difficilmente la rappresentereste a capo tavola ad autorizzare rette e attività scolastiche. Sapete che cosa sorregge il nostro immaginario? Il patriarcato.

In una cultura patriarcale si associa al maschio l’attività regolativa e alla femmina quella di care-giver, semplicemente perché, in un certo mondo, gli uomini facevano le leggi e amministravano la res publica mentre le donne si occupavano della prole. E allora suggerisco di fare un passo avanti e parlare di funzione normativa e funzione di cura, liberandoci da quegli errori cognitivi che ci fanno vedere ciò che crediamo e non ciò che stiamo effettivamente osservando.

Omosessualità, famiglia, patriarcato:
il modello androcentrico

Omosessualità, famiglia, patriarcato: vi dico dove voglio arrivare. Viviamo in un mondo, quello ricco di oggi, in cui l’organizzazione sociale si basa sul modello androcentrico del Patriarcato: il privilegio del maschio, bianco, cisgender, eterosessuale, sano, ricco, normoabile, con un corpo conforme. Quanto più ci discostiamo da questo referent-man, tanto più crediamo di essere difettati: le donne, tanto per cominciare, ma anche le persone LGBTQIA+, o con disabilità, o con una malattia, o povere, o sovrappeso, e così via. Per non parlare poi delle altre specie animali e delle varie forme di vita che abitano il nostro pianeta. In pratica tutti. Tutto.

Per costruire società più felici, pacifiche e giuste, occorre scardinare paradigmi obsoleti. Occorre creare nuovi immaginari. Nuovi modelli di ruolo capaci di mostrare l’enorme potere dell’unicità. Occorre determinare qualunque unicità come valore indiscutibile e talento necessario per continuare ad abitare insieme questo pianeta come custodi e non come predatori. Occorre ribellarsi a quel sistema che protegge i privilegi di pochi a discapito dei diritti di tutti.

Occorre traghettarci dalla miope visione egologica a una più ampia visione ecologica. Se il mio primo atto di ribellione è stato affermare il mio personale diritto d’amare, in seguito ho deciso di aiutare altri a fiorire, ognuno secondo la propria natura, nella speranza che la mia esperienza potesse diventare una delle pietre con cui lastricare la strada della libertà di essere per altri dopo di me.

Ci sono tante persone, oggi, impegnate nella costruzione di nuove rappresentazioni e nell’affermazione di nuovi modelli, singoli, comunità e organizzazioni che usano il pensiero laterale, la creatività, le intelligenze collettive e le emozioni positive per influire su stereotipi, bias e pregiudizi nel contrasto alle discriminazioni. Così ho fondato un progetto di comunicazione e convocazione che ha chiamato a raccolta tutte e tutti loro, ed è diventato uno dei tanti cuori pulsanti dell’innovazione socioculturale oggi in Italia. Si chiama Re-writers ed è un network di ri-scrittori e le ri-scrittici dell’immaginario, basato su un manifesto etico e sulla forza propulsiva del desiderio condiviso di sentirsi protagonisti di un cambio di rotta. Una rete di persone visionarie con l’obiettivo di trasportare il mondo nel suo futuro in vista dell’appuntamento con la sostenibilità sociale previsto dall’Agenda ONU 2030.

Una bella sfida, perché è vero, è più difficile diventare buoni antenati piuttosto che bravi genitori: bisogna prendersi cura di persone che non si conosceranno mai.

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