Un grande tappeto triangolare dorato disteso sul palco e uno schermo rettangolare alla destra dello spettatore. Un piccolo video a forma di oblò sulla sinistra e un lungo tavolo sullo sfondo della scena su cui sono posizionati un computer, diversi microfoni, mixer, vari indumenti, una valigia. Sullo schermo più grande, in alto a destra, una scritta: MDLSX. Una sigla forse? Non è chiaro il senso. Probabilmente un codice fiscale oppure una data espressa in numeri romani. Poi ti accorgi, però, che la lettera “esse” non identifica nessuna cifra, allora escludi l’opzione. Forse stiamo per assistere ad un dj set, dati gli svariati strumenti del mestiere disposti a bella vista su un tavolo che sembra essere proprio quello di un professionista del mixaggio. Cresce la curiosità per uno spettacolo imprevedibile, dai contorni non definiti. Ecco che la luce si spegne. Si accende la scena. Non potevamo immaginare che avremmo passato un’ora e venti minuti restando incantanti, ipnotizzati, stupiti, emozionati e turbati da questo “ordigno sonoro, inno lisergico e solitario alla libertà di divenire, al gender b(l)ending, all’essere altro dai confini del corpo, dal colore della pelle, dalla nazionalità imposta, dalla territorialità forzata, dall’appartenenza a una Patria”.
Era il 21 giugno 2017 al Teatro Elfo Puccini di Milano, e così si presentava, all’ingresso di noi spettatori, il palco della sala Fassbinder del teatro meneghino. Lo spettacolo in scena era una delle performance più stimolanti ideata da Motus, compagnia indipendente riminese che, dal 1991, si occupa di teatro sperimentale e di ricerca.
Ispirato al romanzo Middlesex di Jeffrey Eugenides, premio Pulitzer nel 2003, la performance, tra video e vecchi filmati di famiglia girati in super 8, playlist musicali e brani recitati estratti da manifesti filosofico-politico, racconta del processo di costruzione, oltre le categorie imposte, dell’identità di Calliope/Cal che, come dichiara nel romanzo, nasce “due volte: bambina, la prima un giorno di gennaio del 1960 in una Detroit straordinariamente priva di smog, e maschio adolescente la seconda, nell’agosto del 1974, al pronto soccorso di Petoskey, nel Michigan. All’anagrafe sono registrata come Calliope Helen Stephanides. Nella mia patente di guida più recente il mio nome è Cal”.
In scena, una travolgente Silvia Calderoni, che ridefinisce il proprio corpo, disfacendolo, segmentandolo, contorcendolo, mascherandolo, cercando di suscitare domande e riflessioni all’interno di ognuno di noi. Sì, perché il discorso diventa molto più ampio, non limitandosi più solo alla storia di Calliope ma diventando un inno contro ogni forma di pregiudizio, un inno alla vita che, per dirla con Pasolini, “non sopporta categorie, una vita dove scrivere categorie è come pretendere di scrivere con un dito nell’acqua”. E forse questo è un po’ il senso di gran parte della produzione di Motus, che fin dall’inizio del suo percorso artistico, ha avuto l’intenzione di aprire finestre sul mondo, di creare un discorso che generi interrogativi, che allarghi i punti di vista, che diventi una dialettica continua tra la realtà esterna e il proprio universo personale. Già la scelta del nome del gruppo è presagio. Un nomen omen, che chiarisce in nuce la loro vocazione originaria. Non fermarsi mai, essere un moto perpetuo tra le cose del mondo.
E così, fin dall’inizio della loro attività, Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande hanno inteso il medium teatrale proprio come uno strumento di conoscenza, un mezzo per riprodurlo e indagarlo, questo mondo. Raccontandone le storture, le ossessioni che nascono all’interno di una società costruita secondo canoni precisi, rigidi e ben definiti. Che non è detto, però, siano assoluti.
Dopo una prima fase produttiva in cui le loro performance elaborano un racconto critico del mondo sottolineando le deformazioni dell’età contemporanea, passano a creare un teatro che sia generatore di un discorso critico sul mondo, una narrazione che punti a smuovere le coscienze, che miri a far riflettere. E MDLSX è proprio questo, uno spettacolo aperto alle interpretazioni di noi che ne usufruiamo, capace di suscitare il pensiero critico indagando le pieghe dell’animo umano. Una riflessione profonda sulla pluralità dell’essere.