La tecnologia è importante fin dai tempi in cui l’essere umano levigava le pietre.
Tuttavia il futuro non può essere pensato solo in termini di intervento antropogenico sul non-umano.

Nello specifico, la tecnologia figlia dell’attuale sistema economico deve in qualche modo trovare un equilibrio con il non-umano non solo in termini di impatto sull’ambiente ma anche, banalmente, a livello di percezione culturale.

Intendo dire che deve essere percepita importante quanto l’ambiente, è l’unica maniera possibile per un’evoluzione non distruttiva.

La percezione della tecnologia – associata a una certa coolness salvifica (Peter di Don’t Look Up impersona perfettamente questo concetto) – è invece contrapposta spesso all’uso strumentale del non-umano come riserva di risorse.

È uno dei punti epistemologici che sta portando al disastro del cambiamento climatico e sul quale, per fortuna, ultimamente si sta lavorando. Scardinare una mentalità socialmente accettata da almeno duecento anni di storia (il termine post quem è la Rivoluzione Industriale) certo non è semplice.

Tiziana Catarci in questo articolo parla di Kant, della frase “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” e si sofferma sui risvolti delle questioni etiche sulle persone e sull’ambiente, prima di entrare nel vivo del suo discorso sull’ AI.

Il mio è un discorso simile, anche se focalizzato non sull’etica ma sulla narrazione, sui risvolti della percezione del mondo di una buona fetta di persone che condividono i valori dell’attuale sistema economico.

Un esempio positivo di relazione tecnologia-ambiente

Thomas Crowther, firmatario di uno studio che a suo tempo ha acceso forse un po’ troppe speranze sulla piantumazione di nuovi alberi come soluzione al cambiamento climatico, oggi al’ETH di Zurigo, tramite tecniche di machine learning e visuale satellitare, cerca di analizzare il potenziale rigenerativo di innumerevoli zone target.

Ha fondato la piattaforma Restor per mappare i progetti di conservazione nel mondo e per farsi un’idea dei limiti e delle possibilità di questi stessi.

La razionalità scientifica è messa così al servizio della rigenerazione, fornendo dati al fine di evitare piantumazioni senza criterio e senza farsi almeno un’idea della loro possibilità di sopravvivere.

Secondo Crowther infatti molte iniziative di piantumazione falliscono perché chi le mette in atto non ha le informazioni che gli permetterebbero di farlo bene. Il procedere in parallelo con i tagli alle emissioni inquinanti è un punto che non viene mai messo in discussione. Per Crowther non c’è una singola uscita salvifica per risolvere il problema del cambiamento climatico, ma un vasto portfolio di soluzioni necessarie.

Un esempio negativo di relazione tecnologia-ambiente

Un esempio negativo di questa relazione sono le chiacchiere da Twitter seguite al post dove Elon Musk dichiarava di donare 100 milioni di dollari alla migliore tecnologia per catturare anidride carbonica. “Per favore spiegatemi in che modo gli alberi potrebbero mai aiutarci”, commenta un utente, “a parte il fatto che ci vorrebbe una gigantesca foresta per avere l’effetto desiderato, in circa un secolo l’albero è morto, si decompone o viene bruciato e l’anidride carbonica torna”.

Ecco la mentalità da sconfiggere, nero su bianco: praticamente l’opposto di quello che sta facendo Crowther. Posto che la tecnologia a favore dell’ambiente è necessaria, in parallelo la deforestazione criminale (come avviene in Brasile) dovrebbe arrestarsi e la piantumazione dovrebbe procedere con criterio.

Questo, unito al ridurre le emissioni di anidride carbonica a finalità energetica e la tecnologia finalizzata al business as usual (dato che il consumo come fondamento di accresciuta economica è il problema), auspicabilmente dovrebbe portare a un cambio di mentalità – quindi, gradualmente, di sistema.

La mentalità è la differenza sostanziale fra Crowther e l’utente Twitter (tralasciando il commento di quest’ultimo sulla vita degli alberi): il primo cerca di costruire tramite la tecnologia un approccio olistico ambizioso alla piantumazione e non solo, il secondo vede il problema e scarta la soluzione legata agli alberi per affidarsi totalmente all’antropogenico.

Ok, affidiamoci interamente alle macchine, continuando a trattare il legno come risorsa e il bosco come potenziale spazio coltivabile come abbiamo fatto fino a ora. Che si fa poi con la perdita di biodiversità? E con le specie che stanno già sperimentando gli effetti della sesta estinzione di massa? E con lo spillover che – come sappiamo – ci ricade addosso mettendoci a rischio di pandemie?

Uno spot geniale

Ecco, ho visto un video recentemente, uno spot per Treedom fatto da Maccio Capatonda e l’ho trovato geniale quanto all’esposizione di questo tipo di narrazione. Che il genere comico possa parlare del rapporto essere umano-ambiente non è una novità, ne avevamo parlato per la cli-fi Solar e per il podcast The Source.

In quattro minuti e venti, Capatonda mette su la parodia di una pubblicità che reclamizza il nuovo, imperdibile device tecnologico. Ci sono tutti i topos: lo zoom su una landa desertica fatta a computer grafica, Capatonda stesso in posa da Steve Jobs (o da Peter di Don’t Look Up se preferite), la musichetta ambient, l’accento statunitense, il tono trionfalistico, frasi come “visionary talent of our creative team”… solo che la grande novità che “rimodellerà il vostro modo di vivere per sempre” è un albero. Anzi è Albevo, con la r americana.

Il nostro albero, come lo conosciamo da sempre, diventa un congegno basato su un “processore biologico” (il seme), un “sofisticato microchip con memoria a lungo termine”.

Capatonda, impersonando vari personaggi, descrive le specifiche dell’albero come se fosse davvero un congegno antropogenico, un brand da vendere. Ma qualcosa va storto – e scusate lo spoiler, ma davvero credo che in questo finale ci sia del genio.

A trenta secondi dalla fine, Maccio esce dal personaggio simil-Steve Jobs e passa improvvisamente dalla pacatezza americana all’abruzzese arrabbiato. “Cioè, noi siamo arrivati al punto che dobbiamo vendere gli alberi alle persone facendo finta di essere americani così questi si pensano che sono fighi gli alberi!”, esclama Capatonda e a questo punto è proprio la coolness di cui parlavo all’inizio che viene smascherata.

“Sono un chirurgo con uno scalpello per i falsi valori” diceva il buon Lenny Bruce. Bene, stavolta lo scalpello è passato a Maccio e ne ha fatto buon uso.

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